NATALIA RE

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La Presidente del MIG Natalia Re: “Alla Ricerca di una Filosofia Gentile”

Dalle occasionali conversazioni attorno ad un tavolo di amici possono scaturire riflessioni interessanti, forse degne di essere fissate, magari per misurare la capacità delle menti intorpidite dalla solitudine abituale, da vite di isolamento, dovute un pò all’età, ed un pò alla pandemia.

Anzi, proprio la terribile pandemia da Covid, avendo portato in primo piano la parte fisica e sanitaria dell’umanità ci costringe ad amare constatazioni.

 In fondo la nostra esistenza è tutta condizionata dalla natura, dalle sue leggi terribili di matrigna inclemente che tutto consuma.

Resti lontano da una persona sei mesi o un anno e la ritrovi diversa, segnata dal tempo: incanutita, un pò incurvata, più incerta nel passo. E perfino le case si consumano e col tempo assumono quella patina che tende a ingrigire il paesaggio urbano, quello che l’uomo s’affanna a costruire come rifugio sicuro per sé e i suoi cari, salvo poi osservarne la lenta consunzione o, peggio, lo sfacelo per terremoti o alluvioni.

Ma torniamo a noi, fragili creature che, nate dall’amore, nell’amore e nella cura cresciamo col sorriso sulle labbra, per essere, in un breve arco temporale, rattristati dalla consapevolezza di un destino di morte.

– E se non fosse così, dove starebbero tutte le creature che nei millenni si sono succedute? –

Questa l’obiezione che banalmente si può fare a giustificare la crudele realtà del naturalismo imperante sull’esistenza umana e sulla realtà terrena.

Ma la parte construens della nostra umanità, la parte nobile di noi, quella che volge lo sguardo all’infinito, all’eterno, si ribella e ribatte: – Almeno alcune di quelle creature avrebbero potuto essere salvate, per restare a far da guida a noi, poveri esseri fragili e smarriti. – E qui balza alla mente la capacità salvifica dell’uomo, quella parte di lui che si ribella alle leggi ferree del “tutto si crea, tutto si distrugge”. Una capacità che, a sua volta, crea, perché nulla si distrugga.

È la ribellione dell’idealismo. È la cultura, che salva e innalza l’uomo ad eroe, a guerriero, in una beffarda sfida alla natura, alla materia.

È la cultura, che ci porta nel ventunesimo secolo, a commuoverci, leggendo i Dialoghi di Platone o di fronte alla Nike di Samotracia.

 

È la cultura, che ci innalza e ci trasfigura con la musica, con la poesia, con l’arte.

Kant e la Critica della ragion pura, Gian Battista Vico e i suoi corsi e ricorsi, ma anche oggi i nuovi filosofi, che si ribellano alla dittatura della pandemia. Sono le menti, sono i cuori di creature terrene che non vogliono soggiacere alla forza di una natura fredda e imperiosa.

Chiedono libertà e la parola si arricchisce di un afflato sublime, che, addirittura contro la ragione, diventa un grido di vittoria, di dolorosa vittoria contro un nemico che ci può distruggere, ma non tacitare.

Il grido di tanti uomini del passato è arrivato fino a noi e noi ancora ci alimentiamo dei loro insegnamenti, ci abbeveriamo alle acque miracolose e pure di fonti sempiterne, che nessun virus potrà mai inquinare.

C’è ancora oggi qualche migliaio o milione di nomi che la natura non ha potuto calpestare nella dimenticanza. Essi sopravvivono nei secoli e noi dobbiamo far loro posto nella nostra mente, nel nostro cuore.

È la cultura, bellezza!

La cultura, che spesso confligge proprio con la natura e riesce a metterla in scacco.

– Ti fai beffe della morte, rinascendo in me – dice il poeta, significando il potere rivoluzionario dei sentimenti, delle tradizioni, dell’arte, contro l’implacabile rigorismo naturalistico.

Si rinnova in eterno la lotta tra leggi di morte e aneliti d’infinito, tra rigorosa scienza e visionaria salvifica cultura, che ci migliora, ci innalza e ci fa sperare.

Ci fa sperare proprio nella scienza, che per tanto tempo ha lavorato a testa china, nella sua torre d’avorio, evitando il confronto, dettando le sue verità, salvo poi doverle accantonare o modificare secondo nuove scoperte. Molto spesso poi gli scienziati, per tenersi fuori da contestazioni politiche o religiose, hanno preferito esplorare campi in apparenza neutri, tralasciando il settore più affascinante e misterioso, che è quello dell’idealismo umano, quello in cui la scienza potrebbe aiutare i filosofi, gli artisti, i poeti, i religiosi.

Perché il mondo ideale è così vivo e coinvolgente per l’uomo? Perché cerca di sottrarsi all’aridità e al meccanicismo della natura? Perché sente l’impulso a migliorarsi, immaginando mondi alternativi?

Sono i mille perché, cui la scienza non ha risposto…almeno fino ad ora.

Ed ecco la “speranza” dell’idealismo, che vuole indicare un percorso proprio alla scienza, unendola a sé e trascinandola verso nuovi lidi, nuovi orizzonti, nuove conquiste nobili e rasserenanti. Non più contrapposizione, ma collaborazione, compenetrazione, per una vera crescita che diventi vero progresso.

Ci aiuteranno le figure di scienziati lungimiranti e ispirati, che sapranno andare oltre le regole a ricercare il mistero, e qualche volta infrangerlo, scoprendo che supera e può indirizzare la natura stessa.